Storie e segreti di chi lavora dietro le quinte del teatro La Fenice, andato distrutto e poi ricostruito 26 anni fa

27 Gennaio 2022

Venezia, 27 gennaio 2022 – Il Gran Teatro La Fenice, un simbolo di Venezia, un luogo ammirato in ogni parte del mondo e che ha scritto e continua a scrivere pagine di storia della città. Andrea Muzzati, 60 anni tra poco, veneziano, in servizio dal 1981, aveva appena superato l’esame di maturità quando, cercando un primo impiego dopo la scuola superiore, venne a sapere che cercavano personale di “macchina” alla Fenice. Venne assunto e oggi, a distanza di 40 anni da quel giorno, è il capo macchinista, uno degli uomini fondamentali nel dietro le quinte di spettacoli, opere e concerti che ospita il teatro veneziano. Il 29 gennaio del 1996 non era a Venezia quando un incendio distrusse il luogo in cui era cresciuto e che era diventato una seconda casa. Era in tournée a Varsavia con il resto del teatro.

Nei suoi occhi si legge, però, ancora il ricordo indelebile di un ammasso di cenere e di legni bruciati. E quegli occhi dopo 26 anni ancora oggi si velano di tristezza e di commozione. Il simbolo di Venezia, il luogo che amava e che non avrebbe cambiato per niente al mondo era andato in cenere, solo fumo e detriti. Ma la Fenice, come il suo evocativo nome, è risorta sempre e nel 2003 si svelava in tutta la sua bellezza alla città. Com'era e dov’era. E assieme alla parte strutturale, scenica, alle dorature, luci e disegni, è rinato anche il lavoro di Andrea.

“Quella sera terribile ci telefonarono spiegando cosa era successo, ma allora non c’erano i cellulari. Eravamo frastornati: abbiamo acceso la tv e abbiamo visto le primi immagini del disastro. Sono stati giorni difficili, così lontani senza capire e senza vedere – racconta – poi siamo tornati e non c'era più niente. Non riuscivamo a capire quale potesse essere il nostro futuro, poi hanno costruito il Palafenice e siamo stati lì fino al 2003”. Ricordi indelebili anche per il vice capo elettricista della Fenice, Andrea Benetello, che all'epoca del rogo lavorava per la ditta Viet, il cui titolare fu condannato dopo anni di interrogatori e indagini.

“Queste sono cose che non ti dimentichi mai più – racconta – oggi, dopo 26 anni, quanto sento odore di bruciato automaticamente è come se fossi in campo quella sera, mentre guardo la Fenice bruciare. Sento ancora i rumori dei pesi e dei contrappesi che crollano da 32 metri, le esplosioni, i vetri che scoppiano, i suoni allucinanti che facevano tremare i pavimenti”. Benetello aveva da poco concluso il turno di lavoro quando l'incendio divampò e trascorse tutta la sera in campo, ad assistere alla veloce distruzione del teatro, rasa al suolo da fiamme alte che rischiarono di bruciare un intero sestiere di Venezia. “Finché ero lì immaginavo tutto quello che andava perduto – conclude – ma la gravità della situazione l'abbiamo capita quando il primo pompiere è uscito e ci ha detto che le fiamme erano già in sala e che sarebbe bruciato tutto come un pagliaio”. Per due anni Benetello ha raccontato agli inquirenti tutto quello che aveva fatto e visto e ora quella vicenda è alle spalle, anche se ha lasciato un segno indelebile nella sua vita.

Il teatro completamente svuotato, nel 2003 è stato ricostruito uguale a quello di prima, anche se “profumava” di nuovo. “La prima volta che siamo saliti sul palco e abbiamo visto la sala tutta dorata è stata una sensazione strana, eravamo abituati al soffitto vecchio, vissuto, questo invece era nuovo, luccicava – spiega Muzzati – Il teatro vecchio era meraviglioso, non è stato davvero facile riabituarsi, anche se sono stati bravissimi a rifarlo, soprattutto il palcoscenico di cui non era rimasto assolutamente nulla”.

La ricostruzione ha permesso di agevolare il grosso lavoro di tutte le persone, come Muzzati, che lavorano dietro le quinte, ma anche di rendere il teatro più snello e veloce nell’allestimento delle opere. Gli spazi sono più larghi per far spostare in maniera più agevole i carichi, i pesi non vengono più tirati su con le corde a forza di braccia ma con moderni argani e con un sistema comandato da un computer e poi sono stati creati quattro ponti mobili per il trasporto dei materiali, perché a Venezia tutto arriva via acqua, per mezzo di barche. Supporti e nuove tecnologie che hanno migliorato la qualità del lavoro, anche se a scapito del fascino del vecchio mestiere. “Il suono delle corde e delle carrucole quando tiravi i pesi mi resta dentro – racconta – io sono entrato in teatro per caso, dopo la scuola, avevo sentito che cercavano persone e mi sono presentato. Sono subito entrato come macchinista ed è un lavoro che non cambierei per niente al mondo, rifarei tutto, perché qui dentro annoiarsi è impossibile, ogni giorno c'è qualcosa di diverso. I vecchi maestri ci hanno insegnato tanto, conoscevano ogni dettaglio del teatro, lo amavano, e questa passione sono stati capaci di trasmetterla a noi”. Attualmente alla Fenice lavorano 30 macchinisti, suddivisi per squadre. Loro sono una sorta di deus ex machina del teatro, il centro da cui parte l’azione scenica, dove si alzano e calano le quinte con precisione millimetrica, dove l'opera viene montata e smontata.

Muzzati, che in 41 anni ha ascoltato migliaia di opere e si è innamorato della Tosca, che non si è mai seduto in platea per godersi uno spettacolo, ha affrontato anche i danni che l’acqua alta del 2019 ha afflitto al teatro, oltre che all’intera città. Acqua e fuoco per la Fenice, che dalle sue ceneri ha saputo rinascere più forte di prima.

LINK VIDEO INTERVISTA: https://youtu.be/fiBsoFaCw8s

 

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