È con l’attrice Albertina Bianchini che a Venezia sbarca il teatro futurista

19 Agosto 2022

Venezia, 19 agosto 2022 – Albertina Schreiber, in arte Albertina Bianchini, cambiò il mondo della recitazione di inizio Novecento partendo da Venezia, dove portò in scena commedie nuove, figlie di un teatro futurista che andava oltre gli schemi tradizionali.

Lungimirante e talentuosa, a soli 27 anni era già prima attrice della compagnia veneta Serenissima grazie alla quale si fece strada in un mondo, quello dello spettacolo, che all’epoca dava poco spazio alle autrici di commedie nuove e futuriste, estranee al concetto comune di opera teatrale.  

Un mestiere, la recitazione, che per la giovane Albertina significava passione, dedizione, studio e ricerca. Il suo viaggio ebbe inizio nella compagnia teatrale del padre Ferruccio, e continuò poi tra i teatri più famosi d’Italia con una compagnia che portava il suo stesso nome.  

Per alcuni maestra, per altri musa e per altri ancora “mattatrice e capocomica di molti meriti e qualità”, come amava definirla l’attore veneziano Emilio Zago, suo amico da sempre. Ed era proprio Venezia il luogo in cui le sue commedie venivano apprezzate e acclamate di più. A volte scritte e portate in scena da lei, e altre volte prodotte da grandi artisti come Gino Rocca, che le donò “Se no i xe matti no i voemo”, o Giacinto Gallina, che per lei scrisse “I oci del cuor”, opera interpretata poi dalla sua compagnia al Teatro Goldoni.  

Recitare era per lei naturale quasi quanto respirare. L’emozione che provava nell’attesa, nel dietro le quinte, poco prima di andare in scena era il motore del suo talento. Un’energia creativa autentica, la sua, capace di far emozionare platee di spettatori che in lei riconoscevano quella luce e quella verità che solo i veri interpreti possiedono.  

Una vita in costante fermento, su e giù dal palcoscenico che per lei era casa, sacrificio e ricerca. E fu solo dopo aver calato il sipario sulla sua carriera di attrice, che la madre del teatro futurista italiano decise di tramandare ciò che sapeva ai giovani attori che come lei avevano la recitazione nel sangue, e che presto avrebbero scritto la storia del teatro italiano.

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