Venezia e l’Oriente, l’alterità nel rapporto musicale tra due mondi antitetici

10 Novembre 2021

Venezia, 10 novembre 2021 – Il legame profondo che unisce Venezia e l’Oriente si può riassumere nell’incontro di civiltà, popoli, culture e identità diverse che la città lagunare, lungo una storia che ripercorre 1600 anni, è stata in grado di far coesistere al suo interno. Un incontro che ha originato un intensissimo scambio culturale in diversi campi, tra cui la musica, che dalle corti orientali ispirò tutto il continente europeo, in un percorso di reciproco arricchimento tra questi due mondi, nel quale Venezia si presentò come ponte e intermediario. E la città oggi può ancora testimoniarci questo suo ruolo: i palazzi, le chiese, le calli e i campi svelano la convivenza che qui è avvenuta tra queste due civiltà, capace di dare vita a molteplici particolarità culturali, in questo caso anche musicali. E proprio a Venezia, nella Chiesa di San Giorgio degli Schiavoni, il dipinto di Vittore Carpaccio “il Battesimo dei Seleniti”, che ancora oggi rimane una delle poche testimonianze nell’iconografia occidentale, ci racconta la percezione dell’Occidente verso la musica orientale.

«In un primo momento, tra il XVI e XVII secolo, il rapporto tra questi due mondi è caratterizzato da una forte incomprensione, le musiche e i suoni levantini e orientali sono spesso considerati come cacofonici, non interessanti e rumorosi – racconta Giovanni De Zorzi, professore di Etnomusicologia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, che in un’intervista, frutto di sue numerose pubblicazioni sul tema, ha cercato di approfondire il contatto musicale tra queste due civiltà - Non a caso, le prime volte che l’Occidente e Venezia ebbero modo di ascoltare la musica orientale fu durante scontri e battaglie, soprattutto tra la città lagunare e l’Impero ottomano»

Tra le fila del nemico era infatti presente un organico musicale che viene definito con il termine persiano mehtar (مهتر), in turco mehter, che consisteva in un ensemble di percussioni e strumenti a fiato, tra cui oboi e trombe. Strumenti dunque sonori, in grado di farsi sentire in grandi spazi esterni per poter così regolare il movimento delle truppe, visto che spesso la voce di un comandante non era sufficiente, ma volti anche ad impaurire il nemico, con un suono che poteva essere udito fino a chilometri di distanza, e a rinsaldare l’animo dei soldati, dando coraggio e spirito comunitario ad un’armata.

Questo fu quello che l’Occidente percepì inizialmente della musica dell’“altro”, prima che i diplomatici cominciassero ad essere ricevuti nell’atmosfera raccolta delle corti orientali e che avessero la possibilità di ascoltare la musica d’arte dei popoli musulmani, che fu senza dubbio un altro tipo di musica rispetto a quella suonata in battaglia.

Ma anche in questo contesto, queste musiche di battaglia ebbero un grande effetto sugli europeiche guardavano all’esercito nemico terrorizzati e allo stesso tempo meravigliati, poiché erano strumenti che non avevano mai visto e udito prima. Erano affascinati per l’incredibile effetto scenico di questi strumenti, suonati a cavallo di elefanti o cammelli, animali esotici che non erano presenti nel continente europeo. Tra questi strumenti vi era il kös (timpano di grandi dimensioni), il davul (tamburo cilindrico), la zurna (oboe ad ancia doppia), il nafir (tromba diritta), e tanti altri.

Questo mehtar era anche uno status symbol del sultano e molto spesso andava ad accogliere gli ambasciatori europei, soprattutto veneziani, che giungevano alle corti dell’Impero ottomano, come immagine stessa del sultano. Fu così che questi strumenti, tanto ammirati nelle corti del sultanato, cominciarono ad essere copiati in Occidente: oggi è ancora possibile trovarli all’interno dell’orchestra sinfonica come “banda turca”, composta dalla grancassa, piatti, piccoli timpani, sonagli e piattini.

«La volontà di riprodurre questi suoni e questi strumenti in Europa – commenta De Zorzi - derivava proprio da un sentimento di attrazione e incanto per il suono tintinnato, un elemento che andò poi a marcare tutta la “stagione delle turcherie”, quel periodo musicale che ebbe il suo più noto e geniale esponente in Wolfgang Amadeus Mozart e che proseguì fino al XIX secolo. Quella delle turcherie fu una delle prime grandi stagioni musicali in cui si cominciò ad osservare con più attenzione e interesse la musica dell’“altro”, portando così il mondo europeo ad un incontro con le musiche marziali, che possiamo definire come uno dei primi grandi incontri tra l’Oriente e l’Occidente nel campo musicale»

In questo rapporto di scoperta e di ispirazione musicale tra l’Occidente e l’Oriente, Venezia ebbe un ruolo sicuramente centrale come ponte tra queste due civiltà. Nel 1688, il bailo veneziano a Costantinopoli, Giovanbattista Donà, tornato da Costantinopoli, scrisse un’opera che intitolò Della Letteratura dei Turchi, un libro che marcò un punto importantissimo nella storia dei rapporti tra l’Occidente e l’Oriente nella musica, fissando un definitivo mutamento dell’atteggiamento degli europei che non erano più inorriditi di fronte ai suoni delle altre musiche, ma iniziavano a comprenderle e a trascriverne i testi.

Un secolo dopo, un altro bailo, Agostino Garzoni, si recò a Costantinopoli portandosi dietro un curiosissimo gesuita, Gianbattista Toderini. Quest’ultimo aveva studiato la letteratura e la poesia persiana e ottomana, e tornato a Venezia nel 1788, dove viveva nella parrocchia dei Gesuiti, pubblicò un libro intitolato Letteratura Turchesca.

«Quest’opera testimonia ancora oggi una specifica peculiarità propria della musica araba-persiana, ottomana, indiana e centro-asiatica - spiega Giovanni De Zorzi - che adotta un tipo di divisione dell’ottava musicale in microtoni, una ripartizione in grado di essere riprodotta solamente da specifici strumenti, come il tanbûr, un liuto a manico lungo del mondo ottomano che Toderini fa ritrarre in una tavola allegata al libro dimostrandone gli intervalli microtonali. La suddivisione dell’ottava in microtoni è una caratteristica che differenzia la musica orientale da quella occidentale, che dal 1722 in avanti suddivide l’ottava in dodici semitoni temperati e uguali tra di loro, applicando così un’aritmetica musicale quasi innaturale»

Una ripartizione che delinea un’espressione tipicamente occidentale che, in parallelo alle grandi scoperte scientifiche e tecnologiche, è alla costante ricerca di modelli, ordine e razionalità, in contrapposizione ad un Oriente che non si dà limiti spaziali o temporali, nemmeno nella musica.

 

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