Venezia, 19 febbraio 2022 – Un modo di dire che è diventato universale ma che nasce a Venezia e proprio nel periodo di Carnevale. “Tagiar la testa al toro”, ossia “tagliare la testa al toro”, è un detto che è ormai radicato nella comunicazione e che ha una radice storica veneziana. Il suo significato metaforico, come noto, è quello di arrivare finalmente a prendere una decisione dopo che se ne discute da tanto tempo. Ma nasce dall’atto vero e proprio di tagliare la testa dell’animale. Tutto inizia con una vicenda che si radica nel 1162, con il Doge Vitale II Michiel che vinse sul patriarca di Aquileia, Ulrico, il quale aveva tentato di conquistare Grado, città della Serenissima che celebra i 1600 anni dalla sua fondazione, secondo tradizione.
“Una volta imprigionato, il patriarca doveva pagare un tributo per essere liberato, che era rappresentato da 12 maiali, 12 pani e un toro che annualmente doveva dare alla Repubblica di Venezia – racconta Marco Trevisan, fondatore di Venipedia, enciclopedia digitale su Venezia, nata per raccontarne la sua storia e le sue tradizioni – la carne dei maiali e del toro andava ai senatori e ai patrizi, i pani venivano distribuiti al resto della popolazione. La cosa si è poi trasformata in una vera e propria cerimonia che veniva fatta a Carnevale, il giovedì grasso: non si usavano più maiali e pani ma c’erano 3 tori, portati dalle due corporazioni dei Fabbri e dei Macellai, che il giovedì grasso venivano decapitati, Questo segnava la chiusura di ogni lotta e dello spettacolo”. La decapitazione del toro diventa quindi il simbolo della fine della diatriba tra i contendenti e da qui deriva il significato di risolvere definitivamente una controversia che si protrae da tempo, dare una fine a una cosa, una discussione, un problema.
Un altro modo di dire sempre legato al Carnevale di Venezia ma ormai in disuso, racconta Trevisan, è “De zioba grasso tute le boche lica”, ossia “Il giovedì grasso tutte le bocche leccano”. Questo detto è strettamente legato a “Tagiar la testa al toro”.
“Ci sono due motivi legati a questo modo di dire – racconta Trevisan – il primo è che nei giorni “grassi”, poiché precedevano la Quaresima e quindi il periodo di digiuno, si svuotavano le dispense non essendoci la possibilità di conservare il cibo come facciamo oggi”. I sette giorni grassi, da giovedì a martedì, diventavano quindi l’occasione per consumare cibi grassi e nutrienti in preparazione del periodo di quaranta giorni, che precede la Pasqua, in cui ci si dedica alla purificazione e ad un cibo più magro.
“Il secondo motivo è collegato appunto al “tagliare la testa al toro” – conclude il fondatore di Venipedia – perché era il periodo in cui una parte delle carni di toro e maiali si è capito poi che venivano distribuite alle fasce più povere e così anche i poveri potevano festeggiare senza pagare. Da qui deriva il modo di dire che tutte le bocche potevano leccare”.