La storia delle fritole, il dolce simbolo del Carnevale di Venezia

15 Febbraio 2022

Venezia, 15 febbraio 2022 - A Venezia il Carnevale, che quest’anno si festeggia dal 12 febbraio al 1° marzo in occasione delle celebrazioni per i 1600 anni della città, ha da sempre il sapore di zucchero, pasta fritta e uvetta. Sono tanti i dolci associati a questa festività ma tra galani, castagnole e crema fritta, la regina indiscussa del Carnevale di Venezia è solo una: la frittella. In veneziano viene chiamata fritola (pronunciata fritoea) ed è realizzata, secondo la ricetta originale, rimasta invariata per secoli e custodita nella Biblioteca Nazionale Canatense a Roma, con un impasto di uova, farina, zucchero, limone e uvetta e poi fritto per essere guarnito, infine, da una spolverata di zucchero. 

Negli anni questa ricetta ha subìto diverse modifiche e oggi, nelle pasticcerie della città, durante i giorni in cui viene festeggiato il Carnevale è possibile assaggiare fritole alla crema pasticcera, allo zabaione, al cioccolato o al pistacchio, con o senza uvetta in base ai propri gusti. 

L’origine di questo dolce, però, risale a qualche secolo fa, nello specifico al ‘600 quando, a Venezia venne creata un’associazione di 70 fritoleri che comprendeva tutti coloro che preparavano questo dolce nei baracchini di legno sparsi per la città. I componenti di questa corporazione, il cui luogo di ritrovo era chiesa, tutt’oggi esistente, della Maddalena, nei pressi della Ca’ d’Oro, potevano esercitare, secondo le severe norme che regolamentavano il loro mestiere, in una specifica area della città e dovevano trasmettere ai propri figli tutti i segreti della realizzazione di questo gustosissimo dolce facendo sì che quest’arte culinaria potesse passare di generazione in generazione. In caso contrario veniva nominato un successore dal cosiddetto Gastaldo, il capo delle singole arti, che doveva essere poi approvato dalla magistratura. 

I fritoleri erano riconoscibili perché indossavano un tradizionale grembiule bianco e avevano sempre con loro un vasetto bucherellato che usavano per zuccherare le frittelle appena fritte. Questi maestri pasticceri esperti in fritole lavoravano solitamente su grandi tavole di legno su cui mescolavano gli ingredienti come farina, uova, mandorle, pinoli e cedro candito, per poi friggere l’impasto in olio o burro ed esporre il prodotto finito e zuccherato, su piatti di peltro o stagno. I fritoleri erano grandi maestri non solo della pasticceria ma anche della vendita e, per dimostrare la bontà e la freschezza dei loro dolci, mettevano sempre in mostra gli ingredienti usati e zuccheravano le frittelle appena cotte con grandi gesti teatrali per attirare i passanti con il loro profumo e la loro maestria. In origine le frittelle venivano infilzate in uno spiedo per poter essere mangiate calde senza che ci si scottasse le dita.

La vera svolta nella storia di questo dolce di Carnevale avvenne, però, nel XVIII secolo quando venne proclamato “Dolce Nazionale dello Stato Veneto”. Da questo momento, la popolarità delle frittelle si espanse sempre di più fino a raggiungere anche le regioni limitrofe che iniziarono ad assumere questa usanza durante i giorni del Carnevale. Oggi, la frittella è un dolce che viene preparato in tutto il Nord Italia. 

A contribuire al successo della fritola furono diverse opere d’arte come il dipinto del 1750 “La venditrice di fritole” di Pietro Longhi, custodito all’interno di Ca’ Rezzonico, Museo del Settecento Veneziano o l’opera di Carlo Goldoni, “Il Campiello”. 

A Carnevale, però, nelle pasticcerie veneziane non ci sono solo le fritole ma anche altri dolci come i galani, nome veneto di quelle che comunemente vengono chiamate chiacchiere, realizzati in forma rettangolare con un impasto di farina, burro, zucchero, uova e una componente alcolica e le castagnole, una versione più piccola delle fritole che viene fatta, secondo la ricetta originale del Seicento, mettendo insieme zucchero, uova, farina, panna, acqua e creando delle piccole palline che poi verranno fritte in olio e cosparse di zucchero. 

 

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