Venezia, 16 settembre 2022 – Una nave incisa su una colonna di Palazzo Ducale, un corno dogale dipinto a mano con pittura rossa che guarda l’ingresso della Biblioteca Marciana, o un proverbio veneziano tracciato sulla pietra nei pressi del Caffè Lavena. Piazza San Marco è intrisa della storia della Serenissima, e numerose sono le sue narrazioni, giunte fino a noi grazie agli scritti di dogi, poeti ed intellettuali. Tuttavia, se si scruta attentamente i suoi muri nella luce radente del tramonto, si vedono emergere anche antichi graffiti, testimonianza dal basso della quotidianità e delle tradizioni della città e della Repubblica di Venezia.
Il termine “graffito” è stato usato per descrivere una moltitudine di scritte e manifestazioni grafiche diversissime tra loro. Dipinte a mano, incise con uno scalpello, o stampate sulla pietra con l’aiuto di una matrice: una definizione che vada bene per ogni contesto storico-geografico, e per ogni tipo di scritta, al momento non esiste. Ma nel momento in cui si mette da parte la tecnica con cui si esegue il graffito, e ci si concentra più sul gesto di scrivere sui muri, sull’urgenza che ha spinto delle mani a trasformare la superficie, si arriva a scoprire una visione originale e diversa della storia della Serenissima, raccontata più dai comuni cittadini che dai nobili veneziani.
In cinque anni di ricerca, sopralluogo, studio e scrittura, Alberto Toso Fei e Desi Marangon hanno catalogato oltre 6 mila antichi graffiti di carattere pittorico oppure incisi, realizzati dal Quattrocento fino alla prima metà del secolo scorso. Di questi, circa 500 sono confluiti nel libro I Graffiti di Venezia, la prima mappatura mai realizzata di tutto ciò che è stato raffigurato su muri, marmi, legni, vetri di Venezia e delle sue isole.
Dalle più elaborate impresse sulle colonne delle Procuratie Vecchie, nei pressi della Torre dell’Orologio, alle più semplici, le croci sono tra gli elementi più ricorrenti che si ritrovano nella città lagunare. Molte si possono scorgere sugli stipiti delle porte, soprattutto di case popolari: nel contesto veneziano, afflitto dalle frequenti epidemie di peste, sono il benedire ciò che entra e il tenere fuori ciò che è nocivo. Analogamente, non è raro imbattersi in numeri scolpiti nella pietra, chiaro riferimento a salmi e versetti della Bibbia.
“Relogio sicuro del mezzodì tanto de istae quanto d’inverno”, ovvero “orologio sicuro del mezzodì tanto d’estate che d’inverno”. È ciò che si legge, con l’aiuto della luce radente del tramonto, in un’altra colonna delle Procuratie Vecchie, vicino al Caffè Lavena. Un proverbio probabilmente appartenuto alla tradizione orale veneziana, di cui non si è trovato traccia nelle fonti storiche. Tra le ipotesi d’interpretazione, una di stampo morale: un orologio che segna sempre il mezzodì, e che quindi dà una direzione, è una certezza nella vita.
Ma sui muri di Venezia scrivono anche marinai, viaggiatori, mercanti, e infatti un’altra figura molto rappresentata è la nave, sempre rivolta a sinistra e priva di onde che vi si infrangono. La più grande ad oggi rinvenuta ha l’aspetto di un galeone seicentesco, misura circa 40-45 centimetri ed è stata tracciata su una delle colonne di Palazzo Ducale, sul lato di Riva degli Schiavoni. La sua funzione potrebbe essere stata molto specifica: le fonti storiche raccontano che fin dal Trecento nella Serenissima esisteva la pratica di “ponere bancum”, ovvero mettere in mostra sopra un banco la paga di un marinaio, per invogliare maggiormente i ragazzi a partire per mare. Non a caso, il luogo dove si posizionavano i capitani delle imbarcazioni con i loro banchi era tra le colonne della Piazzetta e le colonne del Ducale, a due passi dall’antico graffito della nave, che assume quindi una funzione promozionale dell’attività.
Pareti e pilastri di Piazza San Marco, nei secoli della Repubblica di Venezia, sono un’interfaccia tra Stato e cittadino, e su di loro si intuisce ancora oggi la fervente attività politica della Serenissima. Se si osserva abbastanza attentamente le colonne della galleria davanti all’ingresso della Biblioteca Marciana e del Museo Archeologico, infatti, si intravedono scritte elettorali a supporto di questo o quel doge, anche tracciate una sopra l’altra, oltre che corni dogali dipinti a mano o impressi con delle matrici. Tra le più nitide, spiccano quelle che inneggiano Marcantonio Giustinian, divenuto inaspettatamente doge al primo scrutinio nel 1684.
“Viva San Marco, viva la Repubblica” acclamano invece i graffiti sulle colonne vicino al Caffè Florian, a lungo reputati falsi. In realtà, come testimonia Daniele Manin stesso in uno dei suoi scritti, nel 1848 la città intera viene tappezzata di questi slogan che celebrano l’indipendenza. Anche qui, le ragioni vanno ricercate tra le pagine della storia: mentre l’altro lato di Piazza San Marco è il ritrovo degli austriacanti, il Caffè Florian è il quartier generale dei rivoltosi, e allo scoppio della rivoluzione del 22 marzo 1848 i primi feriti dei tumulti in piazza vengono portati proprio in questo luogo.
Croci, navi, modi di dire, date, cronache di vita: le mani di migliaia di cittadini veneziani dei secoli scorsi parlano quindi dai muri di Piazza San Marco, raccontandoci la loro quotidianità.