Arcangela Tarabotti, la veneziana che nel Seicento lottava per i diritti delle donne

18 Marzo 2022

Venezia, 18 marzo 2022 - Costretta a prendere i voti per un difetto fisico che non la rendeva appetibile alle nozze. Arcangela Tarabotti, nata Elena Cassandra, quattrocento anni fa passeggiava tra le mura del monastero benedettino di Sant’Anna, nel sestiere di Castello, rivendicando i diritti delle donne. Una giovane veneziana femminista che, prima di molte altre, scriverà con coraggio per denunciare le violenze subite rivendicando la parità tra uomo e donna secoli prima che fosse consentito farlo. 

Nata a Venezia nel 1604 tra infilatrici di perle, marinai e costruttori di remi, in un’epoca in cui le giovani donne avevano il diritto di esistere solo per essere promesse spose mentre lei, che era nata zoppa, non poteva ambire a questo privilegio. L’unica di quattro sorelle ad essere costretta, contro la sua volontà, alla monacazione da chi avrebbe dovuto proteggerla e curarla, non si rassegnò mai al trattamento che le avevano riservato i suoi genitori e dedicò la sua vita a denunciare la violenza a cui erano sottoposte quelle giovani veneziane, costrette ad una vita di rinuncia e devozione. 

Era stata una bambina felice, prima, nata in una famiglia benestante da un padre marinaio, ma proprio insieme a lui lascerà la sua casa a tredici anni diretta verso quella che diventerà la sua dimora per il resto dei suoi giorni. 

Dopo un inizio difficile, fatto di fughe e rifiuti, Elena Cassandra smetterà di esistere il 24 settembre 1623, giorno in cui prenderà i voti, al suo posto nascerà una giovane Arcangela Tarabotti, la cui voce, che urlava di ingiustizie e soprusi arriverà ben oltre le porte del suo monastero. 

Una battaglia che parlava di emancipazione femminile, di indipendenza economica, di diritto al lavoro, come forma di indipendenza, e allo studio, come arma di conoscenza e difesa. Una lotta per rendere ogni donna libera di essere artefice del proprio destino, come gli uomini, e non come lei, costretta per trent’anni a vivere una vita che non si era scelta. 

Arcangela decise di combattere scegliendo la scrittura come la sua miglior arma di rivendicazione, aprì le porte del suo convento e svelò la durezza dell’esistenza delle donne che erano costrette a viverci, rinchiuse per sempre tra quelle mura. 

Quattro libri e centinaia di lettere dopo, tra le pagine di “La semplicità ingannata” e “L’inferno monacale”, si può ancora leggere la difficoltà di una vita fatta di sofferenza e dolore che la spinse a combattere per la libertà di quelle giovani donne del futuro che oggi, leggendo le sue parole, possono ricordare chi già quattrocento anni fa combatteva per loro. 

 

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