1° Maggio: Festa Dei Lavoratori. La storia dell’industria calzaturiera del Brenta

30 Aprile 2021

Venezia, 30 aprile 2021 - Il 1° Maggio si celebra la Festa del Lavoro. Nei suoi 1600 anni di storia Venezia e il suo territorio sono state centro nevralgico di attività lavorative, produzione, scoperte, investimenti, centro economico e finanziario per attività di commercio e impresa e soprattutto luogo di nascita e crescita di aziende che hanno innovato, dato lavoro a centinaia di famiglie.
Abbiamo scelto di raccontare una storia a cui è legato il nome di Venezia e del territorio metropolitano: quella dei Voltan e del mondo calzaturiero che ancora oggi è considerato il miglior al mondo in termini di qualità, design e produzione di alto livello.

Dall’arte dei calzolai, ciabattini e zoccolai alla produzione 4.0 delle aziende calzaturiere di oggi

Il territorio della Riviera del Brenta ospita, da oltre 100 anni, un apparato manifatturiero legato al settore delle calzature che ancora oggi domina le scene dell’imprenditoria locale. Da realtà agricola a realtà industriale, questo asse territoriale che va da Venezia a Padova si è sviluppato negli anni fino a diventare un esempio di espansione economica fondata sulla produzione e sul commercio a livello internazionale di calzature del Made in Italy ce del luxury. 

Il fatturato del distretto calzaturiero della Riviera del Brenta, infatti, nel 2019 ha sfiorato i 2,1 miliardi. Il comparto ha realizzato quasi 21 milioni di paia di scarpe, per il 92% destinate ai mercati esteri, dando occupazione ad oltre 10500 addetti. (Elaborazione Maestri Calzaturieri del Brenta su base Confindustria Moda, Assocalzaturifici, Istat).

Le radici della specializzazione di questo territorio nel campo calzaturiero affondano nell’eredità manifatturiera che gli antichi calegheri (da caliga, i sandali dei militari), i mastri calzaturieri veneziani e padovani hanno trasmesso, insieme al gusto per l’eleganza, ai loro successori mantenendo viva ancora oggi quest’antica tradizione. 


Da agricoltura a realtà industriale: lo sviluppo dell’industria calzaturiera del Brenta

Nel territorio della Riviera del Brenta verso la fine dell’800 l’agricoltura era l’unica possibilità di sostentamento per gli abitanti della zona. In un periodo di arretratezza e ruralizzazione, dopo il declino di Venezia, fu proprio la vicinanza a città come Padova e la stessa Venezia a giocare un ruolo fondamentale nella ripresa di quelle attività artigianali e commerciali che avevano reso grandi queste due città negli anni e che in quel momento storico faticavano a prendere di nuovo piede. Ma quei saperi taciti e le competenze tecniche dei vecchi calzolai e ciabattini veneziani e padovani non poteva scomparire e fu proprio questo il punto di partenza per una ripresa economica verso lo sviluppo di quello che oggi è uno dei territori italiani più forti nel settore del calzaturiero. Grazie alle competenze specialistiche trasmesse di padre in figlio e da maestro ad allievo nelle poche botteghe rimaste non si disperse questa conoscenza manifatturiera che ancora oggi caratterizza questa zona del Veneto. 

La storia dei calzolai, zoccolai e ciabattini delle campagne del Brenta

In passato il mestiere del calzolaio era quello di confezionare, sottocommissione, scarpe nuove e su misura oppure ripararle, se rotte. Le botteghe dei calzolai erano caratterizzate da una piccola stanza, una sorta di sgabuzzino che conservava gli attrezzi del mestiere e i materiali come il cuoio. Gli utensili venivano appesi al muro in ordine in modo che il calzolaio sapeva sempre dove fossero e non perdesse tempo nella ricerca dell’attrezzo giusto. Il calzolaio lavorava principalmente seduto su uno sgabello davanti a un tipico banchetto sul quale si dedicava alle sue scarpe. Gli strumenti dei calzolai erano sempre gli stessi: la forma in ferro dove si infilava la scarpa per farla restare ferma, un martello di foggia particolare con una testa piatta da un lato che si restringeva per poi allargarsi di nuovo verso il foro del manico e dall’altro lato una forma di scalpello senza, però, finire a taglio. Poi, non poteva mancare il coltello privo di manico con una striscia metallica con un taglio obliquo così come la lesina e il punteruolo che servivano per fare i fori sul cuoio, gli aghi flessibili, lo spago per le cuciture che veniva solitamente impeciato e arrotolato, puntine, chiodini, brocche, un attrezzo in legno di bosso per lucidare e tenaglie. 

Il lavoro del calzolaio, soprattutto nell’epoca a cavallo tra ‘800 e ‘900 dominata dalla povertà, era per lo più finalizzato a riparare scarpe e scarponi inserendo rinforzi all’interno della tomaia o applicando mezze suole o tacchi. All’epoca, infatti, erano pochi quelli che potevano permettersi il lusso di commissionare la creazione di scarpe nuove in cuoio. I giorni in cui il calzolaio lavorava di più erano quelli verso la fine della settimana perché i clienti, che portavano le scarpe a riparare, le volevano pronte per la domenica per poterle indossare a messa o alle feste. Quindi, ogni lavoro, doveva essere terminato al massimo entro il sabato sera e quando le scarpe da riparare erano troppe, per poter finire tutto, il calzolaio restava sveglio fino a tardi per consegnare tutto al massimo la domenica mattina. Il lunedì, invece, giornata di minor lavoro, veniva utilizzato per andare al mercato ad acquistare il materiale. 

Le scarpe, però, non erano un bene di prima necessità perché solitamente da marzo fino a settembre, nelle zone di campagna come quella della Riviera del Brenta, i più poveri, e specialmente i ragazzi, andavano in giro scalzi mentre in inverno venivano utilizzate le cosiddette sgàlmare (dette anche sopéi) cioè le calzature con tomaia in cuoio, ricavata dal riutilizzo di vecchi scarponi, e la suola in legno usate da chi non poteva permettersi scarpe più costose. La suola, per non rischiare che si rompesse subito, veniva rinforzata da chiodi dalla testa larga quindi, “imbocchettata” come si dice in gergo e queste scarpe venivano utilizzate per lo più in campagna o a casa perché segno di povertà. In casa veniva utilizzata anche un’altra tipologia di calzature: gli zoccoli, completamente realizzati in legno. Sia le sgàlmare che gli zoccoli venivano confezionate dagli zoccolai che erano maestri nella lavorazione del legno tenero. 

Se gli zoccolai erano specialisti nella produzione di scarpe “dure”, i ciabattini erano i maestri delle scarpe più morbide che avvolgevano il piede solo nella parte anteriore. Queste calzature venivano realizzate in legno e cuoio oppure in cuoio e sughero. Uno dei capostipiti del mestiere di ciabattino nel territorio Brentano fu Gaetano Carrato che era attivo nella produzione di queste scarpe già dal 1865 con la bottega dalla quale uscirono i suoi successori, i fratelli Giuseppe e Vittorio Neri che si distinsero per la creazione di particolari tiologie di scarpe: mue, muete, mueoti e caéci. Le prime avvolgevano il piede solo davanti e avevano tutta la zeppa in legno il rialzo tra la suoletta e la suola) e si distinguevano dalle muete perché queste avevano la zeppa solo nella parte posteriore. I mueoti avevano una zeppa in sughero a tutta pianta che era nuda o ricoperta da una fascetta di pelle. I caéci, invece, erano calzature molto rigide fatte in cuoio e pelle spessi dove al posto dei chiodi, per tenere le suole unite, venivano utilizzati dei pezzetti di legno chiamati appunto caéci. 

Voltan: il primo calzaturificio fondato nel 1898 da Luigi Voltan che, emigrato negli Stati Uniti, aprì in Riviera del Brenta la prima azienda tecnologica in grado di produrre scarpe a livello industriale

Testimonianza ancora attiva dell’eccellenza calzaturiera inserita nel distretto industriale della Riviera del Brenta è il Calzaturificio Voltan, nato a Stra nel 1898 dalla lungimiranza del suo fondatore, Giovanni Voltan, detto Luigi, che ha saputo sfruttare le conoscenze tecnologiche acquisite in un territorio sviluppato come quello statunitense e applicarle a un territorio agricolo e in piena crisi come quello della Riviera del Brenta nella fine ‘800. Figlio d’arte, Luigi Voltan, nato nel 1873, ha iniziato a seguire fin da bambino suo padre, calzolaio della zona, per poi emigrare a soli 15 anni a Boston, negli Stati Uniti. Qui è entrato subito a contatto con le novità tecnologiche della produzione industriale delle calzature sviluppando un nuovo modo di intendere la produzione delle scarpe e portandolo in Italia, dieci anni dopo. È così che quel ragazzo originario di Stra ha acquistato i primi macchinari usati dagli americani per portarli in Veneto fondando così il primo calzaturificio italiano che utilizzava macchine per fare scarpe. 

Da una prima produzione “all’americana” di calzature economiche e anfibi militari, l’azienda oggi è passata al settore del lusso con la produzione “all’italiana” di calzature di fascia medio-alta realizzate con materiali di alta qualità e revisionati dall’occhio attento di esperti operai che danno quel tocco finale e manuale alla produzione meccanizzata delle scarpe che fa, così, la differenza. Tra i vari brand che l’azienda ha sviluppato negli anni, si distingue quello di Alexandra Voltan che dedica la sua collezione di scarpe interamente alla città di Venezia. Questa, infatti, ha come simbolo proprio il leone alato, icona della Serenissima e di San Marco ma allo stesso tempo anche della filosofia di Voltan di far volare la fantasia senza perdere di vista la determinazione per la realizzazione die propri prodotti proprio come l’animo di un leone. Questa linea di scarpe, infatti, viene interamente realizzata con l’utilizzo di tessuti veneziani e adornata con accessori in vetro di Murano. 

Oggi, l’azienda, giunta alla quarta generazione, viene guidata dai pronipoti di Luigi Voltan, Emanuele e Marco. È così che innovazione e tradizione camminano di pari passo e il territorio della Riviera del Brenta con i suoi calzaturifici continua a fare la storia dell’imprenditoria sia in Italia che nel mondo.