120 anni fa crollava il campanile di San Marco: le macerie del “Paron de casa” inabissate al largo del Lido

11 Luglio 2022

Venezia, 11 luglio 2022. Un rumore sordo, una nuvola densa che circonda la piazza e il vuoto che improvvisamente cambia lo skyline del salotto più bello del mondo. Il Paron di casa si siede, crolla, lasciando il posto a un cumulo di macerie. È il 14 luglio del 1902, esattamente 120 anni fa, quando i veneziani assistono a una scena che ha dell’incredibile: il crollo del campanile di San Marco, la torre sulla cui cuspide svetta l’arcangelo Gabriele, che sembra quasi vegliare sulla città. Pochi secondi e il campanile si siede su se stesso, risparmiando miracolosamente i monumenti vicini e senza fare alcuna vittima.  

“Per ogni dove mescolaronsi, precipitando, le colonne marmoree della cella campanaria, assieme ai cornicioni, alle sculture dell’attico ed alla pesante armatura della cuspide. I massi ristettero all’angolo della Basilica, ed attuti il colpo la colonna che fu svelta; squarciarono, verso mezzogiorno, la testata della Libreria Marciana”. Così l’archeologo Giacomo Boni descrive la scena che compare ai suoi occhi, davanti allo stupore della gente che in un attimo aveva perso il proprio punto di riferimento.  

Il campanile si accartoccia su se stesso, si insacca e piega verso l’angolo nord est, per imprudenti lavori murari, come verrà poi studiato e analizzato. La torre originaria viene infatti rialzata e modificata ma senza irrobustirne le base e seguendo criteri e tecniche diverse, proprie di uno e dell’altro secolo. Il campanile, oggi alto quasi 100 metri, viene costruito per la prima volta nel XII secolo, dove prima sorgeva probabilmente una torre di avvistamento, e viene poi riedificato tra il 1511 e il 1514. Le indagini successive al crollo rivelano difetti strutturali e trascuratezze di lavorazione, difetti di qualità e di impiego dei materiali che facilitano l’azione distruggitrice del tempo. Tra le macerie, ci sono sì i resistenti e solidi laterizi romani rettangolari, quadrati, tondi, ricurvi provenienti per la maggior parte da Aquileia, ma si recuperano anche molti mattoni di scarsa resistenza, utilizzati per sanare i danni prodotti da fulmini e intemperie. Senza coesione sono le malte di calce d’Istria che, anche per effetto del moto delle campane e della spinta dei venti, si polverizzano e che, al momento del crollo, imbiancano i tetti e il suolo tanto da dare l’illusione che su Venezia sia caduta la neve.   

Com’era e dov’era. Lo decreta il Comune di Venezia, che già a distanza di pochi mesi, il 25 aprile del 1903, colloca la prima pietra e sempre il 25 aprile, giorno di San Marco, del 1912, inaugurerà il nuovo campanile.   

La costruzione, ricopiata fedelmente nel suo aspetto esteriore, viene reintegrata di alcune parti distrutte: vengono cioè posti su due lati del dado sopra la cella, alternati con le Giustizie, i due Leoni andanti in pietra d’Istria in sostituzione di quelli scalpellati alla caduta della Repubblica e, sulla sommità, viene ricomposta con gli originali frammenti la statua in rame sbalzato dell’Arcangelo Gabriele, quasi interamente rifatta, ricopiando l’antico modello del 1822. 

Le macerie del campanile vengono inabissate a tre miglia al largo del Lido. A lanciare in acqua il primo degli oltre 1.200.000 mattoni è una bambina, Gigeta Alessandri, figlia del pittore Angelo che lavorava per lo scrittore John Ruskin. È un funerale, un viaggio lugubre, quello che parte da San Marco e che termina alla bocca di porto del Lido con i primi cento metri cubi di macerie a bordo di una chiatta: a quel mare Venezia dona una parte di sé, di quei laterizi che i veneziani avevano raccolto fra i resti delle città romane dell’estuario, un “triste carico, biancheggiante come ossa cremate” e la folla, assiepata sul Molo, assiste in religioso silenzio all’ultimo viaggio di ciò che resta di uno dei simboli della loro città.   

Ma la storia del campanile non finisce lì. Da alcuni anni il mare sta restituendo tanti mattoni del vecchio campanile e nel 2021 è stato inaugurato il progetto culturale ed educativo “El Paron de casa” che vede al centro proprio lui, un monumento diventato simbolo permanente di rinascita. 

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