Venezia, 28 ottobre 2022 – A fine ottobre, quando le giornate si accorciano e la luce del sole si fa radente, una nebbia autunnale avvolge Venezia e la sua terraferma, conferendole un’immagine del tutto inaspettata e surreale. Un velo di mistero cala sulla laguna intera, e si fa ancora più palpabile la presenza di tutti quegli spettri e fantasmi che da secoli popolano leggende e storie da brivido della tradizione orale veneziana. Nella notte più spaventosa dell’anno, la famosa notte di Halloween, gli spiriti tornano a percorrere calli e canali, palazzi e chiese dei territori della Serenissima, dalle sale di Ca’ Pesaro fino alla cima del campanile della chiesa di Dolo, passando per le teche dell’ex Fondaco dei Turchi.
Si specchia sul Canal Grande il bianco palazzo di Ca’ Pesaro, maestoso e imponente, progettato nella seconda metà del Seicento dall’architetto Baldassare Longhena per la ricchissima e nobile famiglia Pesaro. L’edificio è oggi sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna e del Museo d’Arte Orientale di Venezia, e custodisce al suo interno non solo prestigiose opere dell’Otto-Novecento, ma anche una tra le più grandi collezioni di arte giapponese del periodo Edo in Europa. Si racconta, però, che da quando questi pezzi sono entrati a far parte del museo, lo spettro di un antico samurai, vestito dell’armatura tipica dei guerrieri giapponesi e armato della sua katana, si aggiri tra le sale dell’ultimo piano del palazzo, pronto a sguainare l’arma affilata. In molti, e in più occasioni, hanno giurato di aver visto o sentito vagare la figura del fantasma, spaventosa come solo l’immagine di un guerriero può essere.
Continuando a risalire il Canal Grande, ci si imbatte poi nell’antico Fondaco dei Turchi, oggi sede del Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue e del suo patrimonio storico-scientifico dal valore incalcolabile. Tra le raccolte, sembra che si trovi anche lo scheletro del campanaro di San Marco, a seguito di una donazione arrivata da una collezione privata. Alto più di due metri e con delle mani grandissime, di lui non si sa praticamente nulla se non che aveva il compito fondamentale di suonare le campane del “Paron de Casa”. Un giorno, il direttore di un istituto scientifico veneziano lo notò, e il suo primo pensiero fu che lo scheletro di quell’uomo avrebbe potuto costituire il pezzo forte delle sue collezioni anatomiche. Dopo moltissime insistenze, il campanaro si fece convincere, anche grazie ad una lauta ricompensa, a lasciare lo scheletro al professore dopo la sua morte. Al momento di pagarlo, il direttore, scherzando, disse: “Alla tua morte, porrò il tuo scheletro in una grande teca di vetro e gli metterò in mano una campanella. Mi farà da guardia alle collezioni!”.
Essendo amante del buon vino, il campanaro cominciò quindi a visitare più spesso le osterie veneziane, e fu proprio al tavolo di una di queste che, poco tempo dopo aver stretto il patto con il professore, trovò la morte. Così lo scheletro divenne di proprietà del direttore che, come stabilito, lo mise in una teca dell’istituto con una campanella in mano. Oggi lo scheletro del campanaro di San Marco è esposto in una teca del Museo di Storia Naturale, e si narra che stia al suo posto fino a quando manca poco alla mezzanotte, ora in cui sale sul campanile di San Marco e dà i dodici rintocchi alla campana più grande e antica, la Marangona. Poi si incammina barcollando lungo le calli che lo conducono verso la sua vecchia casa, in corte Bressana, suonando la campanella che tiene in mano e mendicando ai passanti che incontra nel suo cammino: ciò che va chiedendo sono i soldi per poter ricomprare sé stesso.
Spostandosi a pochi chilometri da Venezia, risalendo il Naviglio Brenta, si incontra invece Dolo, un piccolo borgo dell’entroterra veneziano il cui legame con la Serenissima ha radici antiche e ancora evidenti nei suoi palazzi, nelle chiese e tra le strade della città. Fulcro dello sviluppo economico e commerciale della Repubblica in terraferma, Dolo era frequentatissima dalle nobili famiglie di Venezia, che avevano numerose proprietà nella zona. E proprio una di loro pare sia al centro di una leggenda di fantasmi, lo spettro della Contessa Dauli. Si racconta, infatti, che all’inizio del Settecento una gentildonna appartenente a questa famiglia, oggi estinta, si innamorò di un giovane di bellissimo aspetto che tuttavia era un povero stalliere al servizio della famiglia Badoer. Purtroppo un’unione del genere non poteva avere nessuna fortuna a quel tempo: l’uomo venne allontanato e morì di stenti senza poter mai più rivedere l’amata; mentre lei, per la disperazione, si lasciò morire, e fu sepolta nel vecchio cimitero di Dolo, ai piedi del campanile.
Ma nemmeno nella morte la donna riuscì a trovare pace, e fin dai primi tempi il fantasma della Contessa Dauli fu visto salire sulla torre campanaria del Duomo di San Rocco per ammirare la casa dove visse il suo innamorato, Villa Badoer. Una consuetudine che non è venuta meno neanche dopo lo spostamento del cimitero, avvenuto nel corso dell’Ottocento, e ancora oggi, con il calare della notte, lo spirito non cessa di vagare irrequieto per il campanile di Dolo.