Venezia, 24 ottobre 2022 – “L’ultimo tocco della toilette di una donna è cercare e trovare la posizione per quei nei posticci a forma di cuore, di luna, di cometa, di luna crescente, di stella, di spoletta. E che attenzione a disporre graziosamente queste esche d’amore”. Con queste parole Edmond e Jules de Goncourt descrivevano, all’interno del libro La donna nel XVIII secolo, una delle tante sfaccettature della quotidianità femminile nel Settecento, l’applicazione della moscheta, il neo finto. Prodotto con i tessuti più preziosi, dalle forme stravaganti e con una ricca storia alle spalle, da funzionale stratagemma per dissimulare imperfezioni cutanee questo vezzo dell’età barocca è diventato il mezzo di comunicazione privilegiato del linguaggio amoroso.
In pochi sanno che quella del neo posticcio è una storia millenaria. Già il poeta Ovidio raccontava, nel suo celebre Ars amatoria, di come le matrone dell’antica Roma avessero l’abitudine di applicare in diversi punti del volto, accuratamente studiati, dei pezzetti di tela o di pelle animale conciata, colorata e ritagliata. È però durante il Seicento, secolo di amore per il lusso sfrenato e l’eccentricità, che questa pratica viene portata all’estremo.
Siamo in un periodo in cui le epidemie di vaiolo, ma anche la cattiva alimentazione e igiene, sono all’ordine del giorno, e i fortunati superstiti si ritrovano a fare i conti con evidenti cicatrici in tutto il corpo. Per nascondere almeno quelle del viso, si cominciano ad usare i nei finti. Ma ben presto dall'utile si passa al dilettevole, e una volta che questo piccolo frammento incollato sulla pelle, apparentemente innocuo, arriva in mano a donne che non godono di sufficiente libertà, diventa anche una potente arma di seduzione.
Diffusosi all’inizio in Francia, dove veniva chiamato “mouche”, mosca, o “tâche avantageuse”, macchia vantaggiosa, il neo finto si è assicurato in poco tempo un posto d’onore sui tavolini da toilette del resto d’Europa, venendo custodito in preziosi contenitori in oro, argento, porcellana, avorio, smalto, legno o cartapesta. A Venezia, porto del Mediterraneo dove da sempre giungono le ultime novità e le migliori materie prime, spopolava con il nome di moscheta, letteralmente “piccola mosca”, ed era adorato sia dalle nobildonne che dalle cortigiane. Il successo è tale da ispirare addirittura la nascita di botteghe dei cosiddetti “fabbricanti di moschete”, specializzati nella produzione e vendita di questi singolari elementi di bellezza. Ancora oggi nel sestiere di Castello, a qualche passo da campo San Giovanni e Paolo, in quella che viene chiamata Calle de le Moschete resta la traccia, indelebile, dell’indispensabile accessorio di moda del Seicento e Settecento veneziano.
I nei posticci venivano ritagliati nel raso, nel taffetà o nella seta, tutti di colore nero, in modo da rendere ancora più estremo il candore di coloro che li indossavano. Nel tardo Settecento si è toccato l’apice della stravaganza con la realizzazione di nei preziosissimi, molto grandi, con al centro un diamante pronto a scintillare nella penombra.
Forma, misura, posizione. Ogni aspetto della moscheta è un messaggio in attesa di essere decifrato, che dona alle donne veneziane un modo per comunicare senza doversi esprimere a parole. In principio tipicamente rotondo, questo lembo di stoffa col tempo ha assunto fattezze via via più eccentriche: ed ecco comparire sui volti delle dame del XVIII secolo cuori, lune, comete, stelle e corone. I dettami della moda stabiliranno che se ne potessero portare fino a quindici contemporaneamente, e la loro misura contava tanto quanto la forma: ad esempio, i nei piccoli erano indicati per le occasioni intime; quelli grandi e allungati, invece, per i ricevimenti danzanti, dove la loro dimensione li rendeva visibili a grande distanza.
Ma era la posizione, attentamente studiata allo specchio, ciò che più permetteva di comunicare con l’altro sesso le proprie intenzioni, emozioni e desideri. Se la moscheta era posizionata sotto il labbro inferiore, si voleva esprimere discrezione; sugli zigomi si confidava di essere gioiosa, sul mento silenziosa, al centro della fronte maestosa, e così via. Altri messaggi includevano invece lo stato civile: una donna fidanzata metteva un neo a forma di cuore sulla guancia sinistra, mentre se lo stesso cuore si trovava sulla guancia destra significava che la donna era sposata.
Il codice di simboli era quindi preciso e rigidissimo, ma se adoperato a dovere poteva portare risultati inimmaginabili, garantendo alla donna veneziana una libertà e un potere che, sebbene non paragonabili ai giorni nostri, difficilmente potevano essere raggiunti in altro modo.