Venezia, 8 luglio 2022 – La vita partigiana, le lotte operaie, l’emigrazione, la condizione femminile e, soprattutto, la tragedia del Vajont. Ogni riga delle opere di Tina Merlin, storica firma dell’Unità che a Venezia diresse le pagine regionali del quotidiano, è pervasa di giustizia, verità e un forte impegno civile. Una giornalista caparbia e decisa che ha sempre avuto il coraggio di raccontare i fatti così come stanno, anche a costo di pagare prezzi alti e dovendo muoversi all’interno di un ambiente lavorativo prevalentemente maschile. In poche parole, una donna che sapeva fare bene il suo mestiere e che, ancora oggi, è d’ispirazione per tutti coloro che le sono succeduti.
Clementina Merlin, per tutti Tina, nasce il 19 agosto 1926 sui monti bellunesi di Trichiana, da una famiglia contadina. Seguendo l’esempio del fratello Toni, entra nella Resistenza nel luglio del 1944 con il nome di battaglia “Joe” e, con la sua attività di staffetta partigiana, arriva a consumare le ruote della sua bicicletta girando da un avamposto all’altro. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si iscrive al PCI e nel 1951 diventa corrispondente dell’Unità, grazie a un concorso del giornale vinto con un racconto. Per tutti gli anni ‘50 si occupa dei problemi della sua amata montagna veneta, soffocata da emigrazione, sottosviluppo, disoccupazione e spopolamento. Sono anche gli anni della costruzione delle grandi dighe e dello strapotere della SADE, la Società Adriatica di Elettricità, spesso descritta come uno “stato nello stato”.
È negli anni ’60 che il suo nome si lega indissolubilmente al disastro provocato dalla diga del Vajont. Già prima del fatidico 9 ottobre 1963, Tina indaga, scrive e protesta contro la costruzione della pericolosa opera di ingegneria idraulica. Ma la sua voce rimane inascoltata e nel 1959 viene addirittura accusata, processata, e poi assolta, per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”. Perché la giornalista bellunese si muove in un contesto lavorativo che, all’epoca, è fatto di soli uomini, e le donne come lei sono pochissime. In più, non è un’inviata speciale, ma una corrispondente locale che scrive per il giornale di un partito dell’opposizione. «Tutti sapevano, nessuno si mosse»: così grida dalle colonne del suo quotidiano una volta avvenuta la tragedia, dimostrando la veridicità delle precedenti inchieste.
Verità, giustizia e un forte impegno civile restano gli elementi caratterizzanti dell’intera vita professionale di Tina Merlin, anche quando si sposta di redazione prima a Milano, e poi a Venezia. Nella città lagunare, infatti, la giornalista ci arriva nel 1974, trasferendosi assieme al figlio Toni Sirena in un semplice appartamento in uno dei primi nuovi insediamenti della Giudecca. Qui, deve dirigere le pagine regionali del Veneto dell’Unità, che al tempo aveva la sua redazione a Cannaregio: per farlo al meglio, si mette a cercare tra le calli della città giovani collaboratori da inserire nello staff. Ricopre questo incarico fino al 1982, continuando a scrivere, con la solita caparbietà, dei temi a lei cari come le lotte operaie, la condizione femminile e i suoi luoghi natali, ponendosi sempre dalla parte dei deboli e opponendosi alle ingiustizie.
Negli anni della pensione – divisa fra la laguna e la sua terra – Tina Merlin ritorna sui suoi passi di donna, militante e cronista. Nel 1983, dopo essere andata per anni alla ricerca di un editore interessato, riesce a pubblicare Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, il libro in cui ricostruisce accuratamente l’intera vicenda.
Ancora oggi si può trovare traccia della preziosa eredità culturale di Tina Merlin all’interno della Città Metropolitana di Venezia. Nel 2015, infatti, il comune di Quarto d’Altino ha deciso d’intitolare il suo Centro Culturale alla giornalista bellunese in quanto, come partigiana prima e giornalista poi, rappresenta un modello di donna capace di mostrare la propria indipendenza nei confronti dei poteri forti ed il proprio impegno di cittadina attiva e vigile, in grado di fungere da esempio per l’intera comunità.