Venezia, 10 giugno 2022 – Una figura femminile cammina sul palco di un teatro di fine Ottocento. Si siede, congiunge le mani e intreccia le dita, poi solleva gli indici e li porta alla bocca, sfiorandosi le labbra, pensosa. Ha una chioma folta e bruna, il viso struccato e dei lineamenti marcati, che non sono affatto in linea con i canoni estetici dell’epoca. Il pubblico, seduto in silenzio sulle poltroncine, attende con trepidazione una sua parola. Perché Eleonora Duse, “La Divina”, sa come ammaliare gli spettatori che sono venuti a vederla. Istintiva e inconfondibile,l’attrice e impresaria teatrale, che nella laguna di Venezia ha mosso i primi passi e ha avuto il suo primo grande successo, ha saputo anticipare i tempi e spingere il mondo del teatro verso nuovi orizzonti con il suo stile moderno e naturale, privo degli schemi obsoleti dell’epoca.
Eleonora Duse ha la recitazione nel sangue. Suo nonno paterno è Luigi Duse, un attore di commedie veneziane, e anche i suoi genitori, Vincenzo Duse e Angelica Cappelletto, recitano e girano il nord Italia con una compagnia itinerante. Ha solo quattro anni quando, a Chioggia, sale sul palcoscenico per interpretare Cosetta nei Miserabili di Victor Hugo. A dodici sostituisce la madre ammalata nella parte di Francesca da Rimini, nell’omonima tragedia di Silvio Pellico. Poi è un susseguirsi di prove sempre più impegnative, fino alla sua consacrazione nel 1882, a Venezia, con La principessa di Baghdad di Alexandre Dumas.
Con i testi del suo repertorio affronta temi spinosi, di critica sociale, che mettono in risalto il finto perbenismo del mondo borghese. E recita sempre in italiano, anche all’estero. Questo, però, non è un problema per il pubblico straniero, perché la sua magistrale interpretazione, che si basa molto sull’istinto e la naturalezza, aiuta gli spettatori a comprendere tutto quello che non capiscono dalle sue parole. La Duse, in netto contrasto con le sue colleghe, scatena quindi una vera e propria rivoluzione nel teatro di fine Ottocento, contribuendo ad indirizzarlo verso la modernità. Con lei non servono grandi decorazioni, un trucco pesante o enfasi nelle pose, nei gesti e nelle battute; la scenografia è sempre spoglia, il viso al naturale e il corpo è il protagonista dello spettacolo.
A Venezia Eleonora Duse ci giunge nel 1894, eleggendo a sua residenza la mansarda con terrazza di Palazzo Barbaro, sul Canal Grande; qui si unisce al circolo di artisti e scrittori della città lagunare. A poco più di due metri di distanza sorge invece Palazzo Dario, dimora della contessa De La Baume, che è solita intrattenere una cerchia di letterati, tra i quali anche Gabriele D’Annunzio. Ed è forse la vicinanza dei due palazzi a favorire la turbolenta relazione amorosa, nonché alleanza artistica, tra il Vate e la Divina, segnata dai numerosi tradimenti di lui e durata circa dieci anni.
Nel Novecento l’attrice e impresaria teatrale, dopo aver investito energie, idee e denaro nelle opere di D’Annunzio ed essere rimasta fortemente delusa, continua a lavorare e viaggiare per il mondo; persino con la scoppio della Grande Guerra non si arresta ma anzi si prodiga per dare il suo contributo, fa visita ai soldati, parla con loro, recita per loro. È nell’ennesima tournée negli Stati Uniti che la Duse, già debole di polmoni, si ammala in modo grave e si spegne in una stanza d’albergo a Pittsburgh.
Ad oggi, nella città lagunare, il ricordo della più grande attrice teatrale della sua epoca vive ancora all’interno della Stanza di Eleonora Duse, uno spazio permanente allestito dall’Istituto per il Teatro e il Melodramma alla Fondazione Giorgio Cini, nell’Isola di San Giorgio Maggiore. Qui, sono esposte lettere, copioni e autografi, oltre a fotografie originali, oggetti personali e costumi di scena della Divina.