Venezia, 3 giugno 2022 - Tessuti in seta con lavorazioni in oro, anelli con rubini, muschio per profumi, cinture d’argento. E poi ancora pezzi d’ambra pura, una tavola d’oro donata dal Gran Khan in persona, stoffe con decorazioni orientali, redini d’argento. Sono solo alcuni degli oggetti rari e preziosissimi che facevano parte della dote e dell’eredità di una donna, una patrizia veneziana, la prima figlia del mercante e viaggiatore Marco Polo, Fantina Polo. Beni dal valore inestimabile raccolti e collezionati da suo padre durante gli innumerevoli viaggi in Oriente di cui Fantina doveva diventare proprietaria dopo la sua morte e portare come dote nel suo matrimonio ma che, una volta sposata, fu costretta a cedere completamente a suo marito Marco Bragadin. Questo grande patrimonio culturale e finanziario, parte del testamento di Marco Polo del 1324, venne subito portato via a Fantina, sua legittima proprietaria, venendo confiscato prima da suo marito e, dopo la sua morte, dalla famiglia di quest’ultimo, nonostante le promesse di Bradagin di restituirle ciò che le spettava di diritto. Venezia, infatti, conservava la tradizione giuridica romana in fatto di dote, il patrimonio destinato a una figlia cadeva immediatamente nelle disponibilità del marito e solo alla morte di questo, ne sarebbe potuta rientrare in possesso. Ma per Fantina non fu così.
Nonostante questo, la figlia di Marco Polo non si dette per vinta e, donna dal carattere forte e deciso, scelse di ribellarsi e fare di tutto per tornare a essere proprietaria della sua eredità. Non fu impresa facile in quanto Fantina dovette affrontare un lungo procedimento giudiziario per rientrare in possesso della preziosa eredità lasciatale dal padre. Ed è proprio una pergamena del 1366, lunga più di un metro e larga 53 centimetri e mezzo, a testimoniare il tesoro che la donna rivendicava. Vi si legge di una serie di oggetti preziosi dalla fattura orientaleggiante, tempestati di fili d’oro e pietre preziose, per un valore che sfiorava i 1081 zecchini, la moneta dell’epoca, un vero e proprio tesoro.
Ipse dominus Marcus Bragadino fecit quicquid voluit, cioè “Bragadin ne ha fatto ciò che voleva”. Questo è ciò che dichiara Fantina in tribunale condannando non solo la famiglia del marito defunto, ma interpellando anche i Procuratori di San Marco, ai quali era stata affidata in custodia l’eredità della donna dai potenti Bragadin.
Aveva preparato la sua deposizione con grande scrupolo rivendicando con forza ciò le spettava di diritto, sostenendo una lunga battaglia legale contro una delle famiglie veneziane più potenti del tempo, i Bragadin e i Procuratori marciani.
Una sentenza eseguita, testimoniata dai tre tagli a spina di pesce applicati alla parte inferiore della pergamena che comportò non solo la restituzione a Fantina della sua eredità ma anche al rimborso delle spese processuali.
La storia di Fantina Polo è un vero e proprio esempio di lotta femminile per i propri diritti, una testimonianza di caparbietà, forza e coraggio in una città che si rivela ancora una volta una grande avanguardia storica e culturale.