Venezia, 11 aprile 2022 – Processioni, atti di devozione, simboli e inni. La settimana Santa, all’epoca della Repubblica Serenissima, era densa di appuntamenti per i veneziani, che vedevano il doge in testa ai cortei e presenziare a tutte le Sante messe. Riti che hanno segnato per lungo tempo la storia di Venezia, che festeggia i 1600 anni dalla sua fondazione.
Nel giorno della domenica delle Palme, al mattino, un canonico di San Marco deponeva sull’altare maggiore dei cesti che contenevano all’interno palme di ulivo, confezionate dalle monache di Sant’Andrea, che poi venivano benedette e offerte al doge e alla sua sposa e a tutti coloro che avevano partecipato alla cerimonia. Al doge andava una palma di forma piramidale a base triangolare con il manico dorato, su cui era dipinto il suo stemma, mentre le foglie erano d’argento, d’oro e di seta. Alla dogaressa e al primicerio veniva consegnata una palma di media grandezza e poi a scendere nelle dimensioni in base all’importanza degli ospiti. Dopo la benedizione si andava in processione: il doge, il clero e i patrizi uscivano dalla porta di San Giacomo con le palme in mano, mentre il popolo reggeva rami d’ulivo. Durante le processione, il Serenissimo si fermava davanti al portale maggiore dove veniva salutato per tre volte dai cantori che intonavano l’inno “Gloria, laus et honor”. I sagrestani liberavano in volo degli uccelli, tra cui alcuni colombi, e quelli che non riuscivano a volare alto venivano catturati dal popolo per essere mangiati durante il pranzo di Pasqua. Dal lunedì, solo il doge poteva indossare abiti color rosso, mentre i senatori dovevano mostrarsi in abiti neri.
Il mercoledì Santo, il doge saliva a bordo di peatoni per andare a visitare la chiesa di San Giovanni di Rialto, mentre il giovedì Santo partecipava alla messa solenne e poi visitava la chiesa di San Giacometo di Rialto mentre i patrizi si recavano agli Incurabili e, in segno di umiltà, lavavano i piedi degli ammalati ricoverati per sifilide. La notte del giovedì Santo le Scuole Grandi si recavano in processione verso la Basilica per venerare la reliquia del sangue di Cristo che veniva esposta per l’occasione, mentre molti confratelli si flagellavano camminando.
I riti più spettacolari si tenevano il venerdì Santo: la mattina il Doge deponeva le insegne del potere, il corno e il mantello, davanti al Santissimo sacramento. Si toglieva inoltre le pianelle e la cintura, con la quale si cingeva il collo e andava a baciare la croce che conteneva la reliquia della vera croce. Anche i patrizi ripetevano lo stesso rituale. All’imbrunire all’interno della chiesa di San Marco sfilava una grandiosa processione che aveva in testa le Scuole Grandi seguite dal clero e dai cantori. Ogni finestra era listata a lutto ma la piazza era tutta illuminata dalla torce. Da ogni parrocchia si snodavano processioni di Scuole Grandi e Piccole, che si dirigevano a San Marco, e i veneziani accorrevano nelle chiese di Cannaregio, San Cassiano e San Polo.
Il sabato Santo, benedetto il cero pasquale e cantate cinque profezie, si celebrava al battistero la benedizione del fonte. In basilica venivano tolti i luttuosi drappi neri e si esponeva la pala d’oro. Il Serenissimo usciva al canto del “Te Deum” e sostava davanti al portale maggiore. Alla sera gli ecclesiastici della Basilica levavano i veli neri che coprivano l’ostia consacrata e li sostituivano con veli bianchi.
Tra processioni e inni, le celebrazioni si concludevano il giorno di Pasqua, quando veniva esposto sull’altare maggiore il tesoro di San Marco e, nel pomeriggio, il doge si recava in processione per assistere al vespro nella chiesa di San Zaccaria.