Venezia, 19 ottobre 2021 – Calli strette e buie, angoli e anfratti dove si nascondevano ladri e malintenzionati. Oggi sembra impossibile, ma un tempo Venezia era una città molto pericolosa. E, al calar del sole, era facile perdersi, cadere dai ponti, finire dentro un canale o essere preda di brutti ceffi. Le botteghe e le abitazioni erano costruite interamente in legno ed era pertanto proibito accendere lumi o fuochi per il pericolo sempre frequente di incendi. La storia di come e quando è stata “illuminata” Venezia, dalle prime lanterne alle moderne luci a led, è antica e densa di curiosità. Nell’anno in cui Venezia festeggia la sua fondazione, nel 421, il Centro culturale Candiani (in collaborazione con la Fondazione Neri spa Museo Italiano della Ghisa e il Servizio Impianti Venezia del Comune di Venezia) ha voluto racchiuderla in una mostra, al quarto piano, che traccia l’evoluzione dell’illuminazione pubblica. “Venezia città di luce” – attraverso dei pannelli, testi e immagini storiche e contemporanee – è un excursus storico di una città illuminata grazie all’installazione di lampade pubbliche prima a olio, nel settecento, poi a gas, nel corso dell’ottocento, e infine elettriche nei primi anni del novecento. Venezia, che nel 2021 festeggia un compleanno lungo 1600 anni, è stata quindi una delle prime città a dotarsi di una primitiva illuminazione pubblica, anticipando di quasi mezzo secolo le altre grandi città italiane.
Risale al 1128 un provvedimento adottato dalla città per l’illuminazione delle strade e dei canali bui di Venezia, che portò alla costruzione dei primi lumi in grado di far luce nelle ore notturne: il doge Domenico Michiel ordinò che nelle ore notturne, nelle zone meno sicure, ci fossero dei “cesendelli impizadi”, cioè delle “piccole lucciole”, dei piccoli fanali ad olio appesi ai muri delle case. Tutte le spese furono a carico della Repubblica, mentre la manutenzione fu affidata ai parroci ai quali si chiese di far installare anche piccoli capitelli votivi, che avrebbero dovuto ardere tutta la notte per “infondere” coraggio ai viandanti. Ma tale provvedimento, pur rispondendo in parte alle esigenze di allora, non riuscì a soddisfare il bisogno di una maggiore illuminazione. Nel 1450 l’aumento del numero di aggressioni notturne spinse la Serenissima a decretare una legge che rendeva obbligatorio l’uso di un lume a chi si inoltrasse per la città nelle ore notturne. Fu così che nacque la figura del “còdega”, un mestiere umile, popolare, una sorta di accompagnatore “illuminante” notturno, il quale – dietro compenso e munito di lanterna – guidava verso casa i nobili e i ricchi di ritorno da uno spettacolo a teatro o da una festa. Un termine ancora oggi in uso perché quando si vuole far notare a una persona di essere “di troppo” e fare il terzo incomodo si utilizza l’espressione veneziana "far el còdega", cioè reggere il moccolo.
Questa pittoresca figura sparì quando, nel 1732, il Consiglio dei Dieci deliberò che tutta Venezia fosse illuminata e ordinò l'installazione in zona Mercerie e San Marco dei primi 843 “ferài” (fanali), lampade pubbliche alimentate a olio difese da un bulbo di vetro e infisse ai muri dei palazzi che dovevano restare accese fino all’alba. Venezia fu quindi una delle prime città a dotarsi di una primitiva illuminazione pubblica, pagata attraverso una tassa speciale che gravò su tutti i cittadini, compresi i nobili ma esclusi i più poveri. All’accensione, spegnimento e corretto funzionamento dell’impianto provvedevano, sempre per ordine del magistrato, gli “impissaferai” o “impizadori”, che utilizzavano i vari tipi di olio in commercio: l’olio di balena, di lino, di rapa, ma anche quello ottenuto dalla spremitura delle olive, il migliore e di conseguenza anche il più costoso di tutti. I ferài venivano costruiti dai feraleri, riuniti nell’omonima scuola che aveva sede presso la chiesa di San Zulian.
Bisogna aspettare un altro secolo prima che i ferài ad olio vengano sostituiti dalle lampade a gas: nel 1839 la Congregazione municipale stipulò un contratto per la fornitura del gas con la ditta francese “De Frigière, Cottin et Montgolfier-Bodin” (da tutti chiamata semplicemente "La Lionese"). La società si assunse l’incarico di diffondere il nuovo combustibile a tutta la città entro sei anni e di aggiungere altri 1.500 fanali ai 1.368 già esistenti: si trattava di lanterne infisse mediante ferri alle facciate dei palazzi, o di luci sospese su elaborati pali verticali in fusione di ghisa, indicati col termine di lampioni o candelabri. Nel 1843 il gas, chiamato “sole della notte”, fu usato per la prima volta per illuminare Piazza San Marco: in quello stesso anno tutte le lampade pubbliche vennero trasformate e l’olio venne sostituito dal gas. Fu subito un successo. Il servizio di accensione e spegnimento delle fiamme veniva svolto a mano servendosi di lunghe pertiche in grado di aprire o chiudere il rubinetto di fuoriuscita del gas. Solo a partire dagli inizi del XX secolo si collocarono in ogni fanale orologi automatici a molla con carica della durata di una settimana.
Nel 1886 l’elettricità segna la vera svolta: prima si tenta un esperimento di illuminazione di un’area della Giudecca e di alcune case private, successivamente, nel 1922, il Comune decide di sostituire definitivamente il gas e inizia i lavori di razionalizzazione delle rete finché, nel 1927, tutti i ferài vengono riconvertiti a energia elettrica. Dal 2011, le lampade sono state sostituite da sorgenti led a basso consumo energetico e oggi, nel territorio del Comune di Venezia, i punti luce complessivi sono 61.214 (42.185 in terraferma; 10.426 in centro storico e 8.603 nelle isole). L’accensione e lo spegnimento degli impianti di illuminazione pubblica avviene attraverso dei dispositivi orari a regolazione astronomica installati nei quadri elettrici dedicati, che si programmano automaticamente secondo il periodo stagionale di riferimento.
Tra le curiosità, il consumo totale di energia elettrica per l’illuminazione pubblica è di 17.101.284 kWh (pari a circa 120.000 televisori sempre accesi tutto l’anno) e il consumo annuo pro capite risulta di 66 kWh. L’illuminazione pubblica, nel secolo scorso, è stata anche determinante per la “liberazione” di Venezia, come racconta Andrea Comoretto nel libro “Una vita di lavoro per Venezia” (edizioni El squero). A Venezia lo chiamano l’uomo della luce, la memoria storica della città. Andrea Comoretto, 90 anni, una memoria di ferro, friulano di nascita ma veneziano di adozione come lui stesso ama definirsi, ha lavorato per 40 anni al servizio prima della Sade e poi dell’Enel nell’impianto di Venezia centro storico e isole.
“L’illuminazione pubblica ha avuto un ruolo fondamentale per Venezia – racconta – come nel caso della Beffa del teatro Goldoni, quando il mio predecessore Bepi Turcato organizzò un’irruzione al Goldoni annunciando la liberazione davanti al comando tedesco e poi spegnendo le luci per scappare senza farsi prendere, o della temuta Decima Mas quando si spensero le luci, di zona in zona, al passaggio dei fascisti”. Diplomato perito elettrotecnico nel 1951, arrivando a Venezia Comoretto pensava di trovare una città con norme e soluzioni specifiche, “invece gli operai si arrampicavano sulle facciate più alte degli edifici, quasi in verticale, un sistema che non avevo mai visto nelle altre città”. Responsabile dell’ufficio tecnico dal 1964 al 1991, Comoretto si è occupato dell’elettrificazione di Pellestrina, di Torcello, di Cavallino, Lio Piccolo e Treporti, illuminando le zone più periferiche della laguna. Con passione, curiosità e buonsenso, Comoretto ha combattuto contro la burocrazia e contro l’omologazione per contribuire a trovare soluzioni, sotto il profilo della sicurezza e dei materiali, che fossero adatte a un ambiente particolare come quello di Venezia e delle sue isole. Dopo l’acqua grande del 1966, è sua l’intuizione di alzare le centraline elettriche affinché non potessero subire le escursioni di marea, e se nel 2019 la rete elettrica non è collassata è anche un suo merito. “Quarant’anni di migliorie, alla ricerca di soluzioni e migliorie – sorride – non cerco medaglie ma posso dire che ho lavorato con impegno e che se ci avessero ascoltato certe cose avremmo potuto evitarle”. Di fatto, tutti i veneziani che hanno vissuto in questo arco temporale possono riconoscere che la qualità della vita è migliorata di pari passo con il miglioramento della rete elettrica.
La mostra è visitabile dal martedì alla domenica, dalle 16 alle 20.